Verso il III Convegno ecclesiale pugliese: Laico, dimmi con chi ti formi…

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Il nostro cammino lungo la strada che porta fino al San Giovanni Rotondo per il terzo convegno ecclesiale pugliese. Dopo aver ripreso, in formato bonsai, i temi legati all’identità del laico nel suo essere “hic et nunc”- oggi in Puglia (L’Ora del Salento, n.5/2011), passiamo ad un altro tema fondamentale: quello della formazione che scaturisce dalla comunione.

Essere laici: ma come? Con chi? Visto chi è il laico, ci si chiede: con chi cresce; con chi si forma; grazie a chi diventa maturo? Gli spunti suggeriti dalla commissione della Conferenza episcopale pugliese attraverso il sussidio di lavoro alla riflessione del Popolo di Dio pugliese, nella sua triplice componente, spaziano dai rapporti di sacerdoti e laici e tra gli stessi laici organizzati, ai rapporti tra le chiese locali e la Chiesa universale e al legame tra la città dell’uomo e la Gerusalemme celeste.

La seconda parte del sussidio si apre con una interessante citazione di Giuseppe Lazzati in cui si ricorda che “il problema principe della Chiesa è il laicato e, di conseguenza, la sua formazione”. Come darti torto, allora come anche adesso. Non è cambiato molto negli ultimi anni, nonostante la formazione dei laici sia cresciuta, nonostante siano tanti i laici che hanno fatto della scelta dell’approfondim ento biblico e teologico la loro scelta di vita e la base del loro impegno pastorale e sociale. Come ci sono anche, bisogna dirlo, quelli che proprio in virtù della loro solita formazione ecclesiale hanno fatto scelte aventiniane. Certamente oggi c’è più formazione, comunque ancora qualcosa non va (giusto per continuare il gioco del fàmose male!). Spesso non vanno informatori perché si confonde ancora la disponibilità con la capacità. Ma forse è la direzione della formazione stessa che non va. Se, e sottolineo se, per rimanere fedeli alla vocazione laicale, si fosse puntato ad una formazione più sociale accanto alla necessaria base biblico-dogmatica, forse si sarebbero sfornati più animatori delle realtà temporali e nemmeno truppe para-clericali caricate salve; più convertitori culturali in senso cristiano che avrebbero potuto dare un indirizzo più chiaro e un coinvolgimento più capillare al grande progetto culturale. Se la direzione della formazione fosse stata quella che dall’altare andava verso la strada ci sarebbe stato qualche sant’uomo in più e tanti pov eri cristi in meno.

Certamente un disegno più legato alla vocazione e alla necessaria missione dei laici avrebbe potuto evitare lo spreco di risorse e di energie che con il tempo sembra non abbiano portato molti frutti. Tra i tanti basta vedere l’esempio del fallimento delle tante occasioni di corresponsabilità che il Concilio aveva auspicato e che il tempo ha cancellato. La mancanza di una formazione che puntava alla concretizzazione della comunione tra le diverse vocazioni non sempre ha portato a cenacoli di incontro, di condivisione delle responsabilità, di impegno nella quotidianità. Si è arrivati a creare delle separazioni nette tra le ovvie responsabilità dei sacerdoti e il possibile sostegno e consiglio dei laici; delle divisioni profonde tra ciò che è sacro e ciò che è di fronte al sacro. Tutto questo perché chi doveva formare ha formato a sua immagine, solo a metà; ma anche chi si doveva formare si è fermato a metà. La metà mancante sembra essere proprio quella che doveva portare a diventare santi nei luoghi in cui si opera ogni giorno.

Tonio rollo